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Giuseppe Antonello Leone  

 Saverio Orlando, "azzurra" le sue notti autoesponendo, nel "campo dei segni", un memorizzato del vissuto; tramutando l'immaginario attivo, nel segno avvolgente di una frattalità metamorfica, intrisa di dolore e di una felicità sorgente, per un'eclisse recuperata nella certezza della luce imminente.

Le forze del dubbio, in Saverio, sono scudo alla sua identità: ribelle, inerme, innocente puro; doti che gli consentono, al bivio, di rinvigorire quei valori fondamentali della vita, potenziando  una  "preghiera" formale-cromatica.

    Comportamento mistico che gli permette di attraversare l'atto creativo con sincerità, libero, d'indurre nella maschera-comunicante, un verbo che apra la dimora al silenzio, per riflessioni riconoscibili all'astrazione sognante una verità in divenire.

    Saverio Orlando, negli anni ottanta rintraccia la "vetrina": vuole essere certo che con mezzi primari quali la matita, la penna a biro, si può entrare su un foglio di carta ed esprimere con autorità e rigore; una geometria certificante, l'armonia del richiamo, del riconoscibile, dell'inimmaginabile, il senso e le ragioni cristenziali.

 

    Saverio sente la necessità di potenziare la sua identità, mediante studi dal vero, dal gesso; dialogare con opere dei maestri del passato, al fine di assimilare una complessità espressiva per poterla rimuovere nel tracciato, poi, del proprio cammino.

Smontare e rimontare l'operato "altro", per cogliere l'intrico, i limiti di una visione che si conforma col vissuto, delegittimante il senso del passato, il senso del futuro, rende trepidante Saverio Orlando, compresente nel narrato del suo tempo, per cui seleziona, sgombra, oppone lo spazio al tempo e, avverte - solidale con se stesso -, che il rapporto creativo spinge al futuro.

 

Cosciente che nel terzo millennio, l'immagine formale ha perso il senso dell'icona, proprio nel rovesciamento estetico informazionale del "sacro" e del "potere" in lotta, tra desideri esistenziali di convenienza e battaglie avariate dalle proiezioni astratteggianti a una libertà, in bilico, tra realtà e utopie frustranti di un universo velocemente in delirio e, una "protesi" mercantile esplosiva, guidata da operatori senza scrupoli, capaci di adulterare un "credo", con trovate teoriche e protezioni, solo per il gruppo di appartenenza, si evince la crisi;  ma anche l'infinita esplorazione della non "appartenenza" nel teorema  "interesse", per aprire nel labirinto degli spazi, come vivere la libertà onirica della non dipendenza.

 

    Saverio Orlando, cosciente dei tumulti di contenuto e dei valori estetici, diffida dei fermenti attivanti solo pezzi di potere, producenti miti ma non arte, per cui egli nelle negazioni, entra nel reale del concreto impercettibile, al fine di congiungere le sue esperienze, con la seduzione dei luoghi del suo vissuto, tra             Ercolano, Oplonti, Pompei, Napoli e la prodigiosa Venezia, per captare sacralità.

Intanto, al Liceo Artistico di Napoli, Saverio trova il suo filo avvolgente emozioni e consapevolezza nella sfera didattica e delle visioni di un maestro, quale Mario Persico; alla sua scuola analizza le diversità realistiche e surreali del  dramma  vivo che si svolge nel tempo moderno con le varie incidenze negative, articolate alla spettacolarità generante passività ribaltata a "gioia" esistenziale.

 

    Saverio Orlando sente la necessità di nuovi campi vitali, di nuovi calcoli emotivi per cui sceglie di frequentare l'Accademia di Belle Arti di Venezia, dove trova, nell'insegnamento di Benito Clauco Tiozzo una rispondenza per l'espansione possibile dei mutamenti a nuove visioni in equilibrio con una Civiltà Tecnologica che spinge a innestarsi  con intelligenze artificiali, incarnando una virtualità psicosensoriale, i cui margini si dilatano in una flessibilità spesso inquietante.

 

    Saverio Orlando, nel suo processo formativo, ritorna a Napoli, dove, nel maestro Armando De Stefano, trova una pienezza che gli consente, nelle contraddizioni tra astrazione e concretismo, la libertà produttiva di una idea, per permearla e… "rende sofisticato e polivalente un segno che aveva già raggiunto una indubbia eccellenza grafico-descrittiva"… " a uscire da riferimento figurale per trattenere soltanto i riflessi di un movimento/mutamento di campi energetici, di vibrazioni elettriche e cromatiche" (Giorgio Segato).

In Saverio Orlando, il percorso vitale dell'immaginario è una storia del tempo: così egli si muove da mille finestre, spia da ogni maglia, avverte il vento, i suoni, il gocciolio dell'acqua, lo spegnersi di una luce o la luce prepotente del sole, che entra da un balcone divelto dalla tempesta.

 

    Tutto si fa spazio in Saverio, coscienza anche quando imbrigliata in un filo di lana o nel filo di ferro spinato del sogno vivente che,  d'improvviso, si fa polvere di gesso; realismo simbolico; tensioni inquietanti come specchio  esoterico che riflette "Astrratto (2000)  silente,  in contrasto con "Il grido" di Edvard                Munk. Immagine che vive un linguaggio in divenire, vissuto nel secolo che passa.

L'albero (1993), dove l'immagine dell'uomo,  armonicamente stravolta, si affianca, o meglio richiama, "Ascoltare vivere" (1941) di Matta (Roberto Sebastian Matta Echaurren, cileno), a prova che lo spazio della coscienza è legato al "miracolo dell'arte", che come un magnete arriva a chi lo percepisce, per quel lucido delirio, capace di snuvolare  tensioni e inquietudini.

Molto dobbiamo al rivoluzionario "Balletto onirico" di Jackson Pollok, che girando operativamente intorno alla tela, distesa sul pavimento, potenzia una circolarità visiva della conoscenza, aprendo una libertà responsabile del comunicare.

 

    Certo, nell'opera di Orlando, percorrono momenti di cromatismi aurei, tonalmente sensibili, fortemente volumetrici, stemperando l'essenzialità delle vibrazioni , dominando segni frattali, mossi in labirinti paralleli e sghembati, con perdita o con presenza umana organica, drammaticamente articolata o smembrata per evidenziare un grido da spaventare il mostro nascente o la belva non belva.

Saverio Orlando intrica segni richiamanti violenze a civiltà svilite.

In tutto questo lavoro, soprattutto trasuda un amore per  l'umano, annunciando nell' "Embrione" (1999) un punto a corona circolare nascente, insieme ad una foglia che dà luce a una periferia annunziante valori di vita.

 

    In "Profili" (2001) vive un colloquio cromatico, vibrante un'ampia musicalità, che poi trovi serenamente silente, come una apparizione, nel dipinto "Pianoforte" (1995) comunicante una pace, che emana nello spazio, una profezia sicura.

 

Napoli 3 aprile 2003

                                                                                                                            

 Giuseppe Antonello Leone

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